Acquate
Il rione che fa da sfondo all'incontro tra i Bravi e Don Abbondio
Sul promontorio dello Zucco, ben visibile dal rione Acquate e mentre si percorre l’Itinerario Manzoniano, si può scorgere la villa che viene identificata come il Palazzotto di Don Rodrigo. Questa è la residenza del signorotto che nel romanzo di Alessandro Manzoni esercita il suo dominio su Lecco, dove vivono i due promessi sposi.
Il Palazzotto fu edificato alla fine del sedicesimo secolo dagli Arrigoni, una famiglia rivale dei Manzoni. Passò poi ai conti Salazar e fu abbattuto nel 1937. In quest’anno venne poi edificata l’attuale Villa Guzzi, progettata dall’architetto razionalista Mario Cereghini.
La residenza di Don Rodrigo è descritta nel capitolo V del romanzo di Alessandro Manzoni quando padre Cristoforo vi si reca nel vano tentativo di convincere il nobile ad abbandonare i suoi propositi nei confronti di Lucia.
«Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. (…) Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne su una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore […]».
A. Manzoni, I promessi sposi
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